STOP CETA

Il CETA, l'accordo di libero scambio tra Ue e Canada, approvato dal Parlamento europeo il 15 febbraio scorso, deve essere ora ratificato dal parlamento di ogni Stato membro e quindi anche dall'Italia.

Come tutti gli accordi commerciali di ultima generazione, prevede di realizzare i maggiori benefici per gli attori commerciali delle due parti, introducendo non soltanto l’azzeramento di oltre il 90% delle barriere tariffarie, rispetto al cui impatto il nostro Governo non ha realizzato (o quantomeno pubblicato) alcuna valutazione condivisa con le due Camere, portatori d’interesse e cittadini. Sono, in realtà, le barriere non tariffarie, e dunque il complesso sistema di standard, regole di produzione, di protezione della qualità e dell’ambiente, che andrebbero ad essere “semplificate” col Ceta, con l’unico criterio cogente della facilitazione commerciale, in modo permanente in più di una decina di Commissioni apposite create dal trattato e sottratte allo scrutinio tecnico e parlamentare, sia di livello comunitario, sia nazionale.

È ormai urgente che gli accordi di libero scambio debbano essere effettivamente posti al servizio di obiettivi più vasti quali l’occupazione, i diritti umani, la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile. A tal fine è indispensabile una maggiore democratizzazione e trasparenza dei negoziati a partire da una definizione dei mandati affidati ai negoziatori, che risponda alla domanda dei cittadini e non solo alle pressioni delle lobbies economico-finanziarie.

Il Ceta non soddisfa questi obiettivi e queste esigenze di trasparenza e pertanto non è e non può diventare un modello di riferimento per la prossima generazione di accordi; inoltre i vantaggi attesi in termini di crescita degli scambi e dell’occupazione sono dubbi o assai limitati e non tali da giustificare i rischi insiti nell’accordo sottoposto alla ratifica.

Tra le criticità segnalate:

il Ceta include l’Investment Court System (Ics), un sistema di risoluzione delle controversie sugli investimenti che permette alle imprese di citare in giudizio gli Stati e l’Ue dinnanzi a una corte arbitrale. L’Ics sostituisce nominalmente il meccanismo Investor to State Dispute Settlement (Isds), ma mantiene inalterati tutti gli aspetti controversi, poiché, contrariamente a quanto richiesto dal Parlamento europeo nella risoluzione del luglio 2015: i) il diritto a regolamentare non è adeguatamente protetto; ii) i membri della corte arbitrale debbono avere esperienza di giudizio ma al momento non sarebbero giudici ‘di ruolo’; iii) la giurisdizione degli Stati membri e dell’UE non è protetta (non c’è l’obbligo di esaurire i rimedi interni prima di adire l’ICS); iv) le norme UNCTAD e OECD sulla responsabilità degli investitori non sono tenute in considerazione, cosicché il sistema è sbilanciato a favore delle imprese.

Sul fronte dell’export agroalimentare, all’Italia sono riconosciute appena 41 indicazioni geografiche a fronte di 288 Dop e Igp registrate; con la conseguente rinuncia alla tutela delle restanti 247 ed impatti gravissimi sul piano della perdita delle qualità del nostro made in Italy. Contemporaneamente, le “volgarizzazioni” legate ai nomi dei prodotti tipici dell’italian sounding (ad esempio, il Parmesan su tutti) coesisteranno con le denominazioni autentiche dei nostri prodotti. La combinazione del principio della «fabbricazione sufficiente» con il criterio del codice doganale rende, di fatto, impossibile l’evidenza dell’origine del prodotto.

Va infine richiamato che il sistema di cooperazione regolatoria potrebbe portare Governi e imprese a sindacare direttamente in ambito arbitrale qualsiasi misura che leda la “libera concorrenza”. Un sistema, quest’ultimo, che investe anche il tema degli Ogm con ripercussioni inevitabili sul “principio di precauzione”. In caso di inesattezza o disaccordo scientifici, infatti, si applica al massimo un divieto temporaneo, giungendo ad un’interpretazione del principio di precauzione molto più limitata rispetto a quella che prevale di solito all’interno dell’Ue.

Di segno analogo ci sembra l’applicazione del principio di equivalenza delle misure sanitarie e fitosanitarie che consentirà ai prodotti canadesi di non sottostare a nuovi controlli nei Paesi in cui verranno venduti. Ricordiamo che in Canada sono impiegate 99 sostanze attive vietate nella Ue.

Altro punto critico, quello riguardante i servizi pubblici locali. Il Ceta è il primo accordo siglato dall’Unione Europea a seguire un approccio alla liberalizzazione dei servizi noto come “lista negativa”: l’opposto rispetto al classico approccio della “lista positiva”. Con la “lista negativa” scelta per il CETA è necessario elencare con precisione quali servizi rimangono protetti: tutti gli altri vengono liberalizzati. Il trattato che contiene una “lista negativa” palesa evidenti difficoltà nel prevedere e regolare tutta una serie di situazioni particolari, e tra l’altro rende deliberatamente soggetti alla liberalizzazione i servizi nuovi che potrebbero venirsi a creare in futuro.

Il CETA non riguarda i servizi che ogni Stato fornisce "nell'esercizio dell'autorità governativa", cioè su base non commerciale e senza la concorrenza da parte di uno o più fornitori privati, ad esempio, In Italia questi servizi possono essere considerati soltanto la sanità e l’istruzione.Alla luce delle disposizioni trasversali del CETA, questo significa che quando i servizi pubblici ,ad esempio la raccolta rifiuti o il servizio idrico,  vengono affidati alla gestione dei privati, gli enti locali UE non possono istituire una “corsia preferenziale” per gli operatori locali.


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20 GIUGNO 2017. Movimento Consumatori, aderisce alla mobilitazione della Campagna Stop TTIP Italia per dire NO alla ratifica del Ceta: ciascun cittadino può impegnare qualche ora del proprio tempo per contattare i senatori italiani chiedendo loro di votare NO alla ratifica. Qualche esempio:

1. Inviare subito una lettera a tutti i senatori, mettendo in chiaro che chiunque approvi il CETA non avrà mai il tuo voto;

2. Inviare la richiesta di votare NO alla ratifica, partecipando ai tweetstorms organizzati dalla campagna, collegandosi al profilo twitter della campagna;

3.Diffondere il documento di approfondimento predisposto e sottoscritto da Coldiretti, Cgil, Arci, Adusbef, Federconsumatori, Legambiente, Greenpeace, Slowfood, Fairwatch, Acli Terra e Movimento Consumatori, Alla ricerca di un commercio libero e giusto ( Free and fair)- Dal sovranismo economico ad un percorso di reciprocità”.

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