Sede nazionale
Via Piemonte 39/A 00187 Roma
Via Piemonte 39/A 00187 Roma
Il 15 aprile scorso, tutti i governi dell’Unione – eccetto la Francia, contraria, e il Belgio, astenuto – hanno dato il via libera ai mandati chiesti dalla Commissione europea per negoziare un nuovo accordo transatlantico di liberalizzazione del commercio con gli Stati Uniti.
Una nuova versione del TTIP, anche se a Bruxelles ci tengono a non usare acronimi diventati “piuttosto tossici”, come ha avuto a dire la Commissaria al commercio Cecilia Malmstrom. La quale ha però dichiarato che sarà fatto “tutto il possibile” per raggiungere un accordo con gli Stati Uniti entro il primo novembre 2019, prima della “scadenza” della Commissione Junker.
L’Europa si trova così a negoziare “con la pistola alla tempia”, cioè sotto il ricatto dei dazi che Trump ha utilizzato negli ultimi mesi per piegare le resistenze nei confronti di un accordo pericoloso per i nostri diritti e l’ambiente. Gli Stati Uniti, infatti, non hanno mai nascosto di voler mettere sul tavolo delle trattative settori come la chimica e l’agricoltura: le imprese multinazionali e i loro rappresentanti al Congresso, infatti, chiedono da sempre regole meno stringenti e più economiche per penetrare nel mercato europeo all’insaputa dei consumatori e dei cittadini. Bruxelles dal canto suo ha negato recisamente che questo accordo metterà a repentaglio la sicurezza alimentare o la salute umana. Ma chiaramente sulla Commissione europea pesano gli stessi, trasversali e transnazionali interessi industriali. Infatti, per capire a quali logiche rispondano, basta analizzare in dettaglio quanto scritto nei documenti ufficiali, approvati anche dall’Italia dei Di Maio e dei Salvini, che nero su bianco appena pochi mesi fa avevano scritto nel Contratto di governo: “per quanto concerne Ceta, MESChina, TTIP e trattati di medesimo tenore intendiamo opporci in tutte le sedi, in quanto determinano un eccessivo affievolimento della tutela dei diritti dei cittadini, oltre ad una lesione della concorrenza virtuosa a scapito della sostenibilità del mercato interno”.
I documenti ufficiali del nuovo TTIP consistono in due mandati a negoziare che ora i tecnici della Commissione possono utilizzare (al fianco del vecchio mandato del 2013 che lanciò il TTIP e resta saldamente in vigore per ogni evenienza) come base per discutere, con la riservatezza che il commercio comporta, di materie che riguardano la nostra vita quotidiana.
Con il primo mandato i Governi Ue autorizzano la Commissione a trattare con Trump l’azzeramento di dazi e quote “ingiustificati” su tutti i prodotti industriali scambiati tranne quelli agroalimentari. La Commissione dovrà svolgere, su richiesta francese, una valutazione d’impatto dell’eventuale nuovo accordo “il prima possibile”, che dovrà essere “tenuta in considerazione”, ma senza alcun obbligo a farlo. La Francia ha votato contro alla richiesta di mandato perché Macron aveva promesso di non appoggiare alcuna trattativa commerciale con paesi che non avessero sottoscritto l’Accordo di Parigi sul clima. E nel ri-TTIP non c’è alcuna garanzia che gli scambi di merci verranno adattati alle esigenze dell’ambiente. Il negoziato mette sul piatto anche le regole d’origine, senza che il rispetto degli standard europei – pur citati – sia in alcun modo vincolante.
Con il secondo mandato si entra nel merito di regole e standard, quelle barriere non tariffarie che – stando all’ultima valutazione dell’UE sul TTIP – costituiscono il vero cuore della faccenda. Quelli che noi chiamiamo diritti e tutele, per USA e Ue (e da ieri anche per l’Italia) rappresentano il 70% degli ostacoli al commercio transatlantico.
Per aggirarli o indebolirli la strategia è semplice: semplificare il riconoscimento dei risultati delle valutazioni di conformità dei prodotti, il che significa – con tutta probabilità – scegliere la via meno rigorosa per produrre e/o distribuire e, di conseguenza, autorizzare le importazioni di prodotti o sostanze. Il tutto, promette Bruxelles “garantendo un livello elevato di protezione nell’UE”, che però non è definito in alcun modo.
C’è di più: mentre è del tutto assente perfino la più vaga allusione al principio di precauzione, Bruxelles annuncia di voler studiare come “introdurre requisiti di valutazione della conformità meno onerosi basati sulla valutazione del rischio connesso al prodotto”. Dunque valutazioni che non si basano sulla qualità, sull’impatto ambientale e/o sociale. Nessun settore è escluso da questo rullo compressore: cibo, ambiente, chimica, farmaci, tutto sarà oggetto di contrattazione riservata tra Junker e Trump grazie all’ok dei paesi membri come il nostro.
Infine, tutti gli accordi di mutuo riconoscimento di regolamenti già in essere tra USA e Ue – basati cioè sull’accertamento dell’equivalenza dei modi di produzione e della loro certificazione conforme dell’altra Parte – potranno essere riaperti per livellare ulteriormente i potenziali ostacoli. E anche in questo caso nessun settore produttivo è escluso. Per portare avanti questo dialogo la Commissione si impegna a creare una “struttura istituzionale” che ragionevolmente ricalcherà la pericolosa Cooperazione regolatoria già proposta nel “vecchio” TTIP e in vigore nel CETA. Si tratta di un sistema composto da comitati bilaterali fuori dal controllo del Parlamento europeo, resi opachi dal segreto commerciale. In quelle stanze, pochi tecnici con il mandato di snellire la burocrazia, passeranno al vaglio anche leggi e regolamenti che mettono cittadini e consumatori al riparo da potenziali minacce ambientali o sanitarie.
Sullo sfondo di questo quadro inquietante, come dicevamo, resta il mandato negoziale relativo al primo TTIP, accordato nel 2013 alla Commissione europea prima che esplodesse una protesta dilagata al punto da dover congelare le trattative. Un mandato mai revocato – e quindi ancora utilizzabile – che copre proprio tutti i settori, compresa l’agricoltura e i servizi pubblici. Procedendo per tappe, come paventa il capo della Direzione Generale Commercio dell’esecutivo comunitario Jean-Luc Demarty, sarà possibile arrivare a discutere anche di queste faccende, a patto che Washington apra i suoi appalti pubblici agli investitori europei. Esattamente lo scoglio sul quale il TTIP originale si era arenato e sotto il quale gli improvvisati “sovranisti” di casa nostra si erano impegnati a seppellire per sempre tutti i trattati tossici. Una posizione che sostenevamo prima di loro e per la quale continueremo a lottare, con la stessa forza di prima e anche più convinti.