Nono anniversario Ali Enterprises. Estendere Accordo su sicurezza anche a Pakistan

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Movimento Consumatori che aderisce alla Campagna Abiti Puliti, coalizione italiana della Clean Clothes Campaign, pubblica il comunicato lanciato dalla campagna, unendosi all'appello per far sì che l'Accordo internazionale per la salute e la sicurezza nell'industria tessile e dell'abbigliamento sia esteso senza indugio a partire dal Pakistan.

Alla vigilia del nono anniversario dell’incendio alla fabbrica Ali Enterprises a Karachi, in Pakistan avvenuto l’11 settembre 2012, gli attivisti pachistani per i diritti dei lavoratori chiedono azioni immediate affinché la sicurezza delle fabbriche tessili sia considerata una priorità dal governo e dai clienti committenti. 

L’entrata in vigore, la scorsa settimana, del nuovo Accordo internazionale per la salute e la sicurezza nell'industria tessile e dell'abbigliamento offre ai marchi un modo concreto di dimostrare il loro impegno a mettere le fabbriche in sicurezza, ma è necessario che il programma sia esteso senza indugio a partire dal Pakistan, come i leader del movimento dei lavoratori chiedono.

Sabato 11 settembre si compiono nove anni da quando il terribile incendio della fabbrica Ali Enterprises uccise più di 250 lavoratori, solo tre settimane dopo essere stata certificata come luogo sicuro da R.I.N.A., la società italiana di audit e certificazioni (incluse quelle sociali) che opera in tutto il mondo. L’incendio alla Ali Enterprise fu il più mortale nella storia della produzione di abbigliamento nel mondo. E poteva essere evitato: una ricerca ha mostrato come semplici misure di sicurezza sarebbero state sufficienti per garantire che i lavoratori potessero uscire dalla fabbrica in sicurezza quel giorno, invece di rimanere intrappolati dietro finestre sbarrate e uscite bloccate. Perché i controlli che pure erano stati effettuati non indicarono la necessità di implementare tali misure?

Una timeline pubblicata oggi dai testimoni firmatari dell'Accordo del Bangladesh – Clean Clothes Campaign, Global Labour Justice – International Labour Rights Forum, Maquila Solidarity Network e Worker Rights Consortium – mostra la progressione nel tempo dei numerosi incidenti, mortali o meno, nel settore tessile al di fuori del Bangladesh dall'inizio del 2021. Essi sono centinaia e ciò dimostra che  è necessario estendere questo Accordo internazionale che garantisce salute e sicurezza immediatamente anche al Pakistan e agli altri paesi in cui si produce abbigliamento.

L’Accordo vincolante sulla sicurezza antincendio e degli edifici in Bangladesh fu siglato sette mesi dopo il crollo del Rana Plaza, l’incidente più grave della storia della produzione tessile mondiale che fece aprire gli occhi al mondo sulle condizioni di lavoro nel settore dell’abbigliamento. In Pakistan, invece, dove la situazione non è dissimile da quella del Bangladesh pre-Accordo, non è successo praticamente nulla per rendere le fabbriche, e di conseguenza la vita di chi ci lavora, più sicure.

Nasir Mansoor, presidente della National Trade Union Federation, ha dichiarato: “Continuiamo regolarmente a sentir parlare di incendi nelle fabbriche. Nove anni dopo la tragedia della Ali Enterprises, non è stato fatto nulla per migliorare le condizioni di salute e sicurezza nelle fabbriche tessili pakistane. Ciò significa che i lavoratori e lavoratrici che cuciono prodotti per aziende come Ikea, Gap e Asda, quando vanno a lavorare, rischiano di rimanere intrappolati in una fabbrica durante un incendio: ancora, ogni giorno".

Non c'è attenzione per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Gli allarmi anti-incendio presenti sono in bella mostra, ma  non funzionano. Non ci hanno mai parlato di uscite di emergenza o di misure di sicurezza in caso di incendio. Spesso sentiamo parlare di incidenti e morti di lavoratori in altre fabbriche e ci chiediamo: se succedesse la stessa cosa alla nostra fabbrica, che ne sarebbe di noi?”, ha raccontato Mukhtar Ahmed, operaio di una fabbrica di abbigliamento nell'area di Korangi in Pakistan.

Il mese scorso, i marchi di abbigliamento e i sindacati che hanno collaborato alla definizione dell’Accordo in Bangladesh negli ultimi otto anni, hanno annunciato il lancio del nuovo Accordo internazionale per la salute e la sicurezza nell'industria tessile e dell'abbigliamento, con l’intenzione di estendere il suo programma ad almeno un altro Paese. 

"Dal tragico incendio della Ali Enterprises, sindacati e organizzazioni per i diritti dei lavoratori in Pakistan hanno lottato per convincere i nostri governi, i buyer e i marchi internazionali ad adottare misure concrete per la sicurezza dei lavoratori. Abbiamo lavorato insieme per cinque anni verso un accordo legalmente vincolante simile a quello del Bangladesh. Ora, dopo l’avvio del nuovo accordo internazionale che verrà esteso ad altri paesi, il Pakistan è sicuramente il primo a cui dover pensare", ha affermato Khalid Mahmood, Direttore della Fondazione per l'educazione al lavoro in Pakistan.

Karamat Ali, direttore esecutivo del Pakistan Institute of Labor Education & Research, ha dichiarato: “Negli ultimi anni i sindacati e le organizzazioni per i diritti dei lavoratori hanno raggiunto un consenso su come dovrebbe essere un accordo pakistano. Abbiamo parlato con molte parti interessate e crediamo che il Pakistan sia pronto per essere il primo Paese in cui l'Accordo vada esteso: non possiamo più aspettare”.

Deborah Lucchetti, coordinatrice nazionale della Campagna Abiti Puliti, coalizione italiana della Clean Clothes Campaign conclude: “L’estensione del nuovo Accordo internazionale al Pakistan è fondamentale, un programma che avrebbe evitato 250 morti se fosse stato attivo all’epoca dell’incendio alla Ali Entreprises, al posto di certificazioni sociali inaccurate e addirittura dannose per la vita dei lavoratori. Oltre all’estensione a nuovi paesi, è molto importante adesso che più marchi possibile aderiscano al nuovo programma, oltre a quelli già firmatari del precedente Accordo ideato per il Bangladesh”.

“Ogni mese devo pagare debiti, acqua ed elettricità, ma il mio salario non è sufficiente. Non voglio vedere obiettivi di produzione sempre più elevati con un numero sempre minore di lavoratori per raggiungerli. Non abbiamo abbastanza entrate nemmeno per pagare i costi dei beni di prima necessità” le parole di una lavoratrice cambogiana che produce per Primark.

Le lavoratrici in Cambogia, ad esempio, sono state private di circa 109 milioni di dollari di retribuzione durante il blocco nazionale di aprile e maggio 2021. La Clean Clothes Campaign stima che ai lavoratori a livello globale spettino almeno 11,85 miliardi di dollari sottratti durante l’anno della pandemia da marzo 2020 a marzo 2021.

Per questo la campagna #PayYourWorkers sta chiedendo a tutti i marchi di abbigliamento e ai distributori di impegnarsi a negoziare un accordo vincolante che copra questi costi, nonché a rispettare i diritti fondamentali dei lavoratori secondo le convenzioni dell’ILO. L’obiettivo a breve termine della Clean Clothes Campaign è che i marchi paghino quanto dovuto e garantiscano le indennità di licenziamento. Al contempo il salario dignitoso in tutte le catene di fornitura dell’industria tessile rimane l’obiettivo generale.

“Certamente in questa fase di grave crisi che ha, ancora una volta, impattato pesantemente la vita di milioni di lavoratori e lavoratrici tessili nel mondo, è urgente che gli venga restituito quanto legalmente dovuto e ingiustamente trattenuto durante la pandemia. Tuttavia è chiaro che questo è solo il primo passo verso un obiettivo fondamentale e altrettanto urgente: il pagamento a tutti lavoratori delle filiere globali della moda di un salario minimo dignitoso, che contribuisca a fare uscire milioni di lavoratori dalla spettro dell’indigenza, dell’insicurezza e della violenza di genere” conclude Deborah Lucchetti, coordinatrice nazionale della Campagna Abiti Puliti.

Tutti i dati sono disponibili su: https://fashionchecker.org/it

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